… un buon chirurgo deve avere un occhio d’aquila, un cuore di leone e una mano di donna
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Nostra intervista al
Prof. Dr. med. Carmelo Turano
FMH neurochirurgia e neurologia
“Una volta, in Russia, un astronauta e un neurochirurgo si misero a discutere sulla fede cristiana. Il chirurgo era credente, l’astronauta no. “Sono stato nello spazio tante volte”, si vantava quest’ultimo, “ma non ho mai visto un angelo.” Il chirurgo, dopo un attimo di riflessione, ribatté: “E io ho operato una gran sfilza di cervelloni, eppure non ho mai visto un solo pensiero.”
(Jostein Gaarder scrittore norvegese 1952)
FdS: Lei mi ha confidato che, da giovane studente avrebbe voluto abbracciare filosofia, ma poi ha scelto medicina e chirurgia. Anche quest’ultima però l’avrà messa di fronte a situazioni in cui si sarà posto la domanda se esiste qualcosa “oltre”. Lei che risposta si è dato? Siamo solo carne e ossa e neuroni, morto il cervello, rien ne va plus?
CT: siamo quello che tutti possono vedere coi propri occhi, un insieme di cellule di varia natura che costituisce sistemi sempre più intelligenti e organizzati. Intendo organi con differenti funzioni, che costituiscono organismi sempre più complessi, come insetti, scimmie fino ad arrivare a noi, uomini sapiens sapiens, con un cervello estremamente complesso (probabilmente la cosa più complessa dell’intero universo) con un lobo frontale che ne costituisce i 2\3 della massa cerebrale, sede delle funzioni esecutive. Quelle che fanno la differenza tra uomini, che hanno consapevolezza e capacità di modificare il mondo e addirittura, attraverso la plasticità cerebrale, di modificare i circuiti del proprio cervello per rispondere meglio alle necessità che sorgono dall’ambiente esterno. E queste modifiche migliorative prendono a far parte del nostro genoma e possono essere trasferite ai nostri discendenti, in un processo che viene studiato dall’ epigenetica.
E questi organismi complessi si aggregano in struttura sempre più complesse e articolate, come quartieri, città, nazioni.
E questo non è solo prerogativa umana, ma di altre società complesse come quelle costituite da
formiche o api.
Ma ciò che ho descritto, non è solo neuroscienze, ma allo stesso modo la prospettiva con la quale io guardo alle neuroscienze.
Essa costituisce la filosofia che è il modo di guardare alle cose e di decodificare la realtà ultima dell’ Essere.
Dalla complessità dell’ Essere e dagli immani sforzi che facciamo per cercare di venirne a capo mi sembra del tutto logico pensare ad un Creatore e quindi sono un credente.
I neurotrasmettitori non bastano da soli, serve un Dio e gli uomini, proprio dedicando la loro esistenza allo studio dei neurotrasmettitori, possono indirettamente amare e onorare il Creatore.
Io preferisco pregare Dio indirettamente, attraverso lo studio della sua perfezione nella creazione dei sistemi complessi che sono propri del cervello.
FdS: Il cervello, questo meraviglioso organo che ci permette di fare tutto. Già gli antichi ne erano affascinati, tant’è che in Egitto sono stati ritrovati dei papiri molto datati che descrivono le prime trapanazioni di crani. Già si intuiva quindi un qualcosa del suo ruolo. Cervello di cui però a tutt’oggi conosciamo ancora poco, per non dire poi che lo utilizziamo, alcuni dicono, al 20% delle sue capacità. Partendo da queste premesse, come ci si avvicina per fare un intervento a cranio aperto… non vengono le vertigini?
CT: il Cervello è il frutto di una continua evoluzione della materia, e la collocazione delle sue funzioni non era ben chiara ai medici stessi, che consideravano il cuore la sede di quello che noi oggi intendiamo per cervello.
Il mistero ha sempre affascinato l’uomo ed il cervello è ancora per noi uomini del XXI secolo un mistero… Come funziona il dualismo mente-cervello? In quali parti del cervello risiede la coscienza? Che cosa è la consapevolezza di sé? Appartiene ad altri esseri viventi differenti dall’uomo?
Ad intuire per primo la funzione del cervello fu un medico di Kroton, città della Magna Grecia ed il suo nome era Alcmeone, fondatore della più antica scuola di medicina.
Per ciò che riguarda la percentuale di utilizzo, non se ne sa molto, ma sicuramente nel prossimo decennio impareremo tecniche che ci consentiranno un maggiore utilizzo delle vie che costituiscono la fittissima trama che interconnette le molteplici strutture funzionali del cervello. Questo accrescerà le capacità umane… E questo spero indurrà l’uomo al ripudio della guerra come mezzo per risolvere le controversie e alla ricerca di un mondo solidale senza sperequazioni, che sono il frutto dell’egoismo delle persone e delle nazioni.
Quando un chirurgo si accinge ad un intervento, come diceva il mio maestro Charles Drake, è in un “teatro” operatorio… Interpreta il suo ruolo di attore protagonista con la competenza acquisita da anni di lavoro e dall’insegnamento dei suoi maestri. Come su un palcoscenico di teatro, egli ha sempre timore di non fare il massimo, di non suscitare gli applausi del pubblico… Ma in realtà è solo, in assoluta concentrazione sul campo operatorio. Non penso al cervello in termini che mi causerebbero imbarazzo, ma allo stesso modo e con audacia, adesso con assai maggiore consapevolezza di quel medico egiziano che trapanò il cranio qualche migliao di anni fa.
FdS: A qualcuno che le chiede cos’è un pensiero e come nasce all’interno del cervello, lei cosa risponde?
CT:
Semplicemente ammetto di ignorarlo.
Immagino, tuttavia che i neurotrasmettitori, le vie associative neuronali, le aree cerebrali che esplichino funzioni specifiche o associative siano coinvolte, ma ne ignoro i meccanismi intimi ovvero di biologia molecolare che mi renderebbero il processo comprensibile.
Cento miliardi di neuroni, quante sono le stelle della nostra galassia racchiuse nel nostro neurocranio, uno spazio estremamente piccolo, e un numero di connessioni interneuronali di un milione di miliardi, ovvero 10 elevato alla sedicesima, questo è il cervello umano.
Mente e cervello equivalgono al tentativo di connettere, in termini logici, pensiero e materia.
D’altro canto, l’uomo è sempre stato affascinato da questo dualismo, che ha sempre cercato di coniugare. Pensate all’opposto del rapporto materia – cervello verso mente – pensiero che é la transustanziazione del pane in qualcosa di impalpabile, nel pensiero, nell’ immaterialità del corpo di Cristo…
FdS: Nel 1961, lo psicanalista Michael Balint già si chiedeva “Perché succede così spesso che, nonostante i più sinceri sforzi da entrambe le parti, il rapporto tra medico e paziente è insoddisfacente, e perfino causa d’infelicità?”. Noi di FdS ne abbiamo discusso durante la serata del 21 giugno, dedicata a “Il paziente difficile”. Ci può riassumere brevemente perché per un medico è così problematico il paziente con dolore cronico e come, secondo lei, deve essere una corretta presa a carico che soddisfi anche il paziente.
CT:
qui devo ammettere che i medici non sono pronti ad affrontare il problema complesso del dolore cronico. Al momento non possiamo contare su una farmacoterapia specifica, adeguata ed efficace.
Noi medici usiamo delle frasi fatte, “mettere il pz al centro”, “intervento multidisciplinare”, ma sono solo slogans che servono, come fossero parole di una formula magica, a eludere il problema, ad evitare di affrontarlo alla radice e in modo razionale. Anche se mettere il pz al centro e in modalità multidisciplinare é ovviamente necessario, come tradurre questi concetti in realtà? Un’ altra domanda che mi pongo è se il medico è disposto a rinunciare al suo ruolo “sacrale” di officiante il rito della guarigione , che mi sembra assai simile all’evento straordinario della liquefazione del sangue di un santo. Noi medici siamo gli eredi del preminente ruolo che svolgeva nella tribù “l’uomo della medicina”, lo stregone.
E se i templi, intendo gli ospedali, rinunciassero a voler suscitare nel pz soggezione e, invece, ne facilitassero l’accoglienza dando un carattere di familiarità e rispetto della persona umana, di porsi al servizio con umiltà (anche perché, a fronte della sontuosità di questi templi, essi sono ancora ben lontani dalla risoluzione del problema dolore). Rispetto e considerazione dell’uomo in momento di fragilità dovuto alla malattia, é troppo chiederlo ?
Io auspico un Centro del dolore cronico improntato alla semplicità dell’accoglienza e semplicità nel tradurre al pz un complesso e articolato programma terapeutico.
Devo spiegare che il pz con dolore cronico é difficile, non a causa di una “speranza di guarigione” divenuta di giorno in giorno più effimera, cosa che accade dopo il secondo o terzo tentativo inefficace, ma é difficile perché il sistema del dolore non é una semplice sensazione, seppure sgradevole, ma esso invia questa sofferenza al sistema limbico, sistema delle emozioni, dell’aggressività e dunque io proporrei di considerarlo in modo diverso da un ruolo specifico del nostro sistema dei sensi, infatti il dolore cronico ha un ruolo che ha piú le caratteristiche di un behavior, ossia di un vero e proprio comportamento. Questo quindi deve modificare l’approccio tradizionale al paziente portatore di dolore cronico.
E allora mi chiedo se siamo capaci di un’azione efficace e rivoluzionaria che cambi tutto nel nostro approccio di medici con i pazienti.
Per esempio abbandonare l’ idea che il medico sia un artigiano che fa tutto da solo, e invece spezzettare il processo diagnostico-terapeutico in più segmenti, affidando ogni segmento ad un particolare operatore che opera in quello specifico segmento, ad esempio un approccio iniziale, preliminare con la figura dello psicologo che crei col pz un rapporto empatico, un altro operatore che si occupi di insegnare al paziente a condizionare nel proprio cervello i ritmi che aiutano il processo terapeutico (come il biofeedback) , un altro che si occupi di migliorare la percezione del dolore con l’agopuntura, e cosí via.
Poi tra questi operatori si deve creare qualcosa molto simile ad un “circolo di qualità” ovvero la condivisione dei problemi per trovare la soluzione migliore.
E intorno a questo tavolo tutti gli operatori, ognuno con la propria competenza, hanno tra l’uno e l’altro una zona di interfaccia, ove termina la competenza dell’uno e inizia quella dell’ altro, ed è proprio in questo spazio vuoto, che nasce la creatività di ognuno, a produrre l’alchimia della relazione che porta a risolvere o almeno migliorare la cura dello stato di dolore cronico.
La frammentazione del processo diagnostico-terapeutico e il circolo di qualità sono le soluzioni che io propongo come modello organizzativo per affrontare molte malattie croniche in cui sia fondamentale dividere in tanti vettori quell’unico vettore medico-paziente, gravato da aspettative non soddisfatte e frustrazione, condizioni che portano perdita di empatia in una corretta relazione tra medico e paziente, rallentando il processo di guarigione.
FdS: Una domanda che ho fatto anche al Prof. Paolo Marchettini. Guardando al futuro prossimo, si può pensare a nuovi farmaci per lenire il dolore cronico, alla stregua degli anticorpi monoclonali per le cefalee, o è chiedere troppo?
CT: è molto realistico che la ricerca farmacologica possa produrre dei farmaci migliori e maggiore efficacia per il dolore, nelle sue diverse tipologie.
Oggi operiamo in termini di biologia molecolare che é quanto di piú raffinato possa esserci per la soluzione del problema dolore, come è avvenuto per la cefalea, che oggi gode di farmaci quasi risolutivi. Una pz che soffriva in modo insopportabile di emicrania cronica, ricordo che mi disse “lei mi ha cambiato la vita”…in verità era stato l’ antigene monoclonale a produrre questo formidabile cambiamento!
FdS: Gli interventi chirurgici volti a togliere/tagliare le terminazioni nervose della parte del corpo che fa male, sono utili? Glielo chiedo perché capita che il paziente, pur di mettere fine al suo dolore, chiede a forza un’ operazione del genere.
CT: Oggi conosciamo che le cause di un tipo di dolore cronico, il dolore neuropatico, sono conseguenza di lesioni traumatiche o chirurgiche al nervo, e che il dolore neuropatico è basato anche su processi di degenerazione di nervi periferici, come quella da diabete. Se operi su un nervo o su una radice in un pz affetto da una tale patologia, non otterrai il risultato sperato. Cioè esegui un intervento chirurgico inutile, costoso, e senza alcun vantaggio per il pz, anzi rischi di peggiorare la sintomatologia.
Ciò avveniva in passato per un grosso numero di interventi di ernia del disco.
Dunque la parola d’ ordine è prima la terapia conservativa!
FdS: Prof. Turano, lei è un luminare per quel che concerne l’Alzheimer. Un grande problema sanitario che nei prossimi anni avrà un impatto pari a uno tsunami. In questo ambito come vanno le cose in termini di ricerca, di farmaci per curare/rallentare la malattia?
Si può pensare di fare di più in termini di prevenzione?
CT: prima che i farmaci, il problema è la diagnosi precoce di questa malattia… e a questo noi medici non siamo preparati. Se tutti i medici, indistintamente dalla loro specializzazione, oltre ad una anamnesi, ad una obbiettività dello stato del pz, cose che appartengono alla normale pratica clinica medica, facessero un esame dello stato mentale, cosa che non richiede più di cinque minuti, saremmo capaci di fare una diagnosi precoce della demenza, e addirittura di far regredire la malattia.
Un centro di diagnosi precoce dell’Alzheimer deve essere di immediata e facile ammissione del paziente che può essere studiato in 60 min circa, con la possibilità già di escludere questa patologia e di rasserenare lui e i parenti.
Questa non é la malattia di un solo individuo ma la malattia che coinvolge l’ intera famiglia.
Infatti per il nucleo familiare è veramente difficile assistere il pz giorno e notte, un pz che può essere agitato e a volte anche aggressivo
I parenti spesso devono assentarsi dal lavoro per aiutare il pz. Il care giver, il più delle volte è il coniuge, anziano e fragile.
Anche dal punto di vista psicologico il pz affetto da demenza crea situazioni di disagio, per esempio non è più in grado di riconoscere i propri figli. Immaginate lo shock psicologico che causa al familiare, dopo una vita in comune, il sentirsi estraneo nella cerchia familiare, il sentirsi non accolto a volte addirirtttura respinto da un padre, da una madre.
Non è assolutamente vero che non si possa fare nulla.
Possiamo fare molto solo se diagnostichiamo in tempo la malattia, se facciamo diagnosi senza ritardi. Noi oggi siamo in grado di bloccare il declino in 1\3 dei pz e addirittura fare regredire il deficit cognitivo in un altro 1\3 dei pz, purché si trovino allo stadio di MCI ( mild cognitive impairment ). Ecco perché serve una diagnosi precoce. Perché se non fermiamo la maltttia in questo stadio, non siamo più capaci di rallentarne il decorso.
Anche questo, come nel caso del dolore cronico, é un paziente difficile…
Lei ha parlato di tsunami, e credo che renda bene l’idea di catastrofe per i sistemi sanitari nazionali, che non potrebbero reggere all’ impatto di questa patologia considerando che essa genera spese ingentissime per gli otto anni di vita media del pz affetto da demenza.
Un dato per tutti: il PIL annuo degli USA é di circa 20 mila miliardi di dollari. Spesa prevista per nei prossimi decenni, 10 mila miliardi che rappresenta la metà del PIL annuo del più ricco paese della terra.
Un altro dato: tutti noi consideriamo il cancro, l’ ictus e l’ infarto del miocardio le malattie che generano le spese più elevate per i sistemi sanitari, essendo le patologie più frequenti e più invalidanti. L’ Alzheimer genera una spesa annua più alta della somma di queste FdS patologie sommate!
FdS: Per finire questo bell’ incontro: se potesse riavvolgere il nastro… filosofia o medicina?
CT: già nella risposta alla prima domanda credo di aver dato il senso di un indissolubile e necessario incontro tra la fisica (medicina) e la metafisica (filosofia) come era nei grandi medici dell’ antichità, Alcmeone ( greco e fondatore della prima scuola di medicina occidentale) o Avicenna, grande medico e filosofo persiano.
La filosofia è come un test di Rorschach, un test psicologico proiettivo di psicologia, in cui il pz interpreta delle figure che gli vengono mostrate, non ci sono risposte giuste o sbagliate… É solo una interpretazione della figura, che rivela meccanismi di pensiero piu profondi.
Devo anche aggiungere che senza la filosofia si guarda ma non si vede… É come guardare un quadro con gli occhi troppo, troppo da vicino.. Si perde il quadro d’ insieme e con esso il significato.
Mi ritengo immensamente fortunato perché ho coniugato l’ Amore e il Timore per il Creatore con l’amore per la filosofia e la medicina, senza aver dovuto rinunciare a nulla, se non alla frivolezza, al disordine e al superfluo.
Credo di avere ricevuto il privilegio di vedere paesaggi mozzafiato riservati a un numero ridotto di uomini.
Quando mi affaccio dal mio essere vedo un mare di un azzurro turchese e a volte anche una sirena dal nome Lighea……sento il profumo dei fiori di zágara o ammiro il verde di montagne e dolci valli svizzere…
(Intervista di Elena Pellanda – Presidente di Filo di Speranza)